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14 Buoni Motivi

Spunti di riflessione (06 giugno 2005)
Quattordici buoni motivi per non andare a votare
Caro Avvenire, mi rivolgo a te per una risposta convincente in merito alla mia sofferta incertezza circa l’indirizzo proposto da politici e religiosi, sul comportamento elettorale nei prossimi referendum. Mi chiedo: se il mondo cattolico fosse veramente tale, perché non accedere alle urne con un convinto no? Perché tentare di scavalcare il "pericolo" cavalcando l’ambiguità dell’astensione? Cristo ci ha amati come Uomo e come Dio dandoci i parametri della sapienza che è fedeltà a Dio e coerenza all’uomo: «Il vostro sì sia sì, il vostro no sia no, il resto viene dal maligno». Se anche oggi i cristiani non sono in grado di percepire il tempo in cui sono visitati, piangeremo comunque sulla rovina della nostra città.
Olga Sapienza

Io non vado a votare perché...
1. Il mio obiettivo è fare in modo che la legge 40 non venga cambiata e che dunque le proposte referendarie non vengano accolte. Fra le due opzioni a mia disposizione (votare no o non votare) scelgo la seconda perché mi offre maggiori opportunità di successo. La battaglia culturale è centrale in questa vicenda referendaria, e noi l’abbiamo affrontata a viso aperto. Ma primaria è la sorte degli embrioni umani oggetto di questa legge. E, allora, scelgo la via lecita che consente maggiori possibilità di successo: quella di non votare.
2. Io ho deciso di non andare a votare perché la Costituzione me lo consente. L’articolo 75 prevede infatti che i referendum siano validi solamente quando si reca a votare la metà più uno degli aventi diritto. Dunque la Costituzione permette di scegliere se esprimere un parere sui quesiti o se agire in modo che il referendum sia dichiarato nullo. Mi pare semplice da capire.
3. Scelgo il non voto perché a chiamarmi alle urne non è lo Stato, ma solo un gruppo di cittadini, quelli che hanno firmato la proposta abrogativa. Il voto è un diritto-dovere solo quando è lo Stato a chiamare al voto per scegliere i rappresentati del popolo sovrano. E ciò avviene solo con le elezioni politiche e amministrative. A convocare i referendum, stavolta, sono stati circa 750mila italiani, sui 50 milioni circa di cittadini italiani in età di voto. Rispetto l’opinione di questi cittadini, ma il fatto che siano loro a chiedere il referendum non mi obbliga a rispondere.
4. Abrogare una legge non è una cosa di poco conto. Quel testo è stato infatti approvato dalla maggioranza del Parlamento, eletto in occasione di quelle elezioni per le quali il voto è un diritto-dovere. È dunque ovvio che la pronuncia del Parlamento (cioè, indirettamente, del popolo) possa essere smentita solo dalla maggioranza dei cittadini. Sono dunque i referendari a doverci dimostrare che la maggioranza degli italiani la pensa come loro, li appoggia e li sostiene. L’onere della prova spetta tutto a loro.
5. Mi accusano di voler usare l’astensionismo fisiologico degli indifferenti? Riporto un’ipotesi possibile di voto che è stata fatta nei giorni scorsi su questo giornale. Mettiamo che partecipi il 55% degli aventi diritto al voto. E l’80% si pronunci per il sì. In tutto fa il 44%. Risultato: una minoranza di cittadini abroga una legge approvata da una maggioranza parlamentare. Anche la posizione del sì gode dunque in partenza di facilitazioni dalla legge referendaria. Se proprio la vogliamo mettere sul piano delle facilitazioni, diciamo allora che siamo pari.
6. Non vado a votare perché non è ammissibile tranciare di netto con il referendum, con un sì o con un no, materie così delicate. La fecondazione artificiale e i suoi dilemmi bioetici meritano un confronto serio e complesso, non una rozza semplificazione quale quella dei referendum.
7. Il non voto è un segno di rifiuto dell’utilizzo spregiudicato dello strumento referendario. Senza nemmeno attendere l’approvazione della legge 40 già si studiavano, infatti, i quesiti referendari per distruggerla. Non si è nemmeno aspettato di vedere come funzionava. La si voleva abbattere a priori. E io a priori mi rifiuto di avallare questa operazione. Non vado a votare.
8. Il non voto è anche e soprattutto un no, grande come una casa, all’utilizzo del referendum per decidere di vita o di morte, in questo della vita o della morte di esseri umani all’inizio della loro esistenza. Ma fino a che punto può arrivare una democrazia? Davvero tutto può essere messo ai voti, può essere dichiarato dipendente dalla volontà della maggioranza? Io penso che vi siano dei diritti che precedono ogni maggioranza, che non dipendono e non possono dipendere dalla volontà popolare.
9. C’è chi ha detto che non votare è una fuga, è disimpegno, è disinteresse. Ma quando mai! Nessuno si è impegnato tanto quanto il fronte del non voto, in questi mesi, a spiegare alla gente i contenuti della legge 40, organizzando migliaia di incontri in giro per l’Italia (con la collaborazione di migliaia e migliaia di persone). Da quando in qua l’impegno è misurato dal recarsi alle urne oppure no? A me non pare un segno di impegno - semmai di disimpegno - il pensare che quattro segni su quattro fogli possano essere sufficienti a dire: «Io la mia parte l’ho fatta».
10. Non votando io mi schiero apertamente, altro che nascondimento. Rendo la mia scelta visibile a tutti. Non mi trincero nemmeno dietro la segretezza del voto, e non ho paura di dimostrare con i fatti come la penso.
11. Io a votare non ci vado. Ma guai a chi dice che mi astengo. L’astensione è un’altra cosa. Vuol dire essere presenti, ma non sapere che fare, o pensare che né il no né il sì indichino chiaramente il proprio pensiero. Ma io, ripeto, un’idea ce l’ho e chiara. Compio una scelta oculata, in quanto a strategia e contenuto, pienamente legittimata dalla Costituzione.
12. Qualcuno pensa che occorre comunque testimoniare il proprio no ai quesiti referendari, e che occorre farlo attivamente, andando al voto? Ma così si fa solamente il gioco del fronte del sì! Suvvia, la realtà non si osserva con i paraocchi: chiunque voglia vedere e capire sa che l’andare alle urne è un regalo a chi vuole fare a pezzi la legge 40 e attentare alla dignità della vita umana. Può non piacere, ma è un dato di fatto.
13. Il non voto è anche un no all’utilizzo di una montagna di denaro pubblico - 700 miliardi delle vecchie lire - per il tentativo ideologico di abrogare una legge di buon senso. Ed è un no al rimborso elettorale che i promotori otterrebbero in caso di quorum superato. Se il quorum dovesse essere raggiunto, infatti, indipendentemente dal risultato fra sì e no, al comitato promotore andrebbe un rimborso di un milione di euro.
14. Dicono che non vado a votare perché così mi hanno ordinato i vescovi. Secondo lorsignori, saremmo tutti una massa di imbecilli incapaci di ragionare con la nostra testa e in spasmodica attesa di sapere dal cardinale vicario di Roma come votare, magari anche con chi parlare, dove andare, cosa mangiare, e così via. La realtà è molto più semplice: è che i referendari hanno una paura matta di perdere, e cercano di dare a intendere ai più "semplici" che non votare significa sottomettersi alle direttive (oscurantiste e medievali, s’intende) del "Vaticano" e di chi lo rappresenta. Sbagliano: non votare significa solo metterli nei guai. E la cosa, davvero, non mi dispiace affatto.
Questi sono i tanti motivi per i quali non andrò a votare. Alla fine faremo i conti. Alla fine vedremo quale sarà il risultato di questo appassionante confronto.

Stefano Caredda

 

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