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La scelta di non votare

In questi mesi Città nuova ha affrontato il tema della legge sulla procreazione artificiale e dei relativi referendum, cercando di fornire chiarimenti adeguati alla complessità della materia.
Girando l’Italia e incontrando molti interlocutori, leggendo le lettere dei nostri abbonati, ci siamo imbattuti in un diffuso disagio dovuto ad un processo di falsificazione in atto nella vicenda referendaria. Una falsificazione che ha portato al rovesciamento non delle opinioni, di per sé parziali e sulle quali si può sempre discutere, ma dei fatti, delle verità di fatto.

Questa manipolazione della verità sostiene i referendum e inganna la buona fede di molti; sconfiggere i referendum è importante in sé, per salvare una legge certamente imperfetta, ma condivisibile nei suoi princìpi ispiratori. Ma è importante anche per cercare di contenere l’ideologia della manipolazione che sta sotto i referendum, e che rischia di diventare dominate nella nostra società. Per questo, chi realmente vuole difendere la legge esistente, che consente la procreazione artificiale imponendo dei limiti ragionevoli, esprime al meglio la sua decisione attraverso un doppio no: “no” alle proposte di modifica contenute nei referendum; “no” ai referendum stessi, per la loro natura ingannevole, non andando a votare.

I promotori dei referendum che si terranno nei prossimi 12 e 13 giugno hanno chiesto le firme di noi cittadini: ci hanno fermato per la strada chiedendoci di appoggiare la ricerca scientifica per guarire malattie quali l’Alzheimer, il Parkinson, i tumori. Molti di noi, ingenuamente, hanno firmato. Il quesito referendario chiede che, per trovare queste cure, si possano utilizzare le cellule staminali degli embrioni, prodotti e congelati nel corso delle tecniche di procreazione artificiale; anzi, chiede che si possano produrre appositamente embrioni in soprannumero per destinarli a queste ricerche che li distruggono e che la legge attuale vieta.

Non ci è stato detto, però, che, ad oggi, nessuna terapia è stata trovata partendo dagli embrioni; al contrario, le uniche terapie oggi esistenti provengono dall’uso di cellule staminali del cordone ombelicale e degli adulti. Non c’è alcun bisogno di distruggere embrioni. Al contrario, bisognerebbe concentrare le risorse economiche e scientifiche nelle sole direzioni che finora hanno prodotto risultati, e che non richiedono di fare del male a nessuno. Ci hanno chiamati “cattolici oscurantisti”: in realtà, difendendo la legge, si difende la ricerca scientifica seria, quella che veramente può curare i malati.

Per sostenere la tesi della libertà di ricerca, i promotori dei referendum hanno tirato in campo alcuni premi Nobel. Dubito seriamente che queste menti – eccelse nei loro campi – abbiano capito realmente la posta in gioco. Non ci si può rivolgere ai Nobel per qualunque argomento. In particolare, ciascuno di noi semplici cittadini ha la capacità di decidere sulla propria vita. Quando conobbi Abdus Salam, premio Nobel per la fisica, mi disse che aveva due mogli; la sua cultura, la sua religione, glielo consentivano. Religione e cultura che io rispetto; la mia religione e cultura (e, non ultima, anche mia moglie), mi insegnano che il rispetto per la persona richiede che io scelga una donna nella sua unicità. Se avessi bisogno di consigli riguardanti la fisica, andrei da Abdus Salam; non mi rivolgerei a lui per questioni matrimoniali.

I Nobel non sanno tutto; quelli, tra loro, che si sono schierati a favore della ricerca che distrugge gli embrioni, hanno commesso uno sbaglio; sono esperti nei loro specifici settori; hanno dimostrato di esserlo molto meno nella valutazione dell’esistenza.

I promotori dei referendum hanno chiesto le nostre firme per la tutela della salute della donna. Non ci hanno detto che cosa c’era sotto questa formula accattivante. In realtà, essi chiedono di eliminare il «principio di gradualità» previsto dalla legge; in base a questo principio, prima di procedere con le tecniche di procreazione artificiale, estenuanti e rischiose per la donna, il medico deve accertarsi se non sia possibile curare la sterilità e l’infertilità, per arrivare ad avere il figlio per via naturale. I promotori dei referendum vogliono eliminare anche altre paroline dal testo di legge, quelle che dicono: «la legge tutela i diritti di tutti i soggetti coinvolti, in particolare il concepito». È questo il vero significato della «tutela della salute della donna»? Una privazione dei diritti della donna, dell’uomo, e del figlio che vogliono avere? Un “via libera” al bombardamento ormonale della donna, per avere a disposizione molti ovuli da fecondare e, di conseguenza, molti embrioni su cui fare esperimenti? Se passasse il referendum si ritornerebbe, in realtà, alla solita, vecchia legge del più forte.

I promotori del referendum vogliono introdurre la fecondazione eterologa, quella cioè che si serve di donatori estranei alla coppia. Il donatore rimane sconosciuto e, se un domani il bambino così concepito avrà bisogno di cure che richiedono di conoscere la storia e la salute di suo padre, dovrà farne a meno. Alcuni fra i paesi più avanzati, che avevano ammesso la fecondazione eterologa, sono tornati sui loro passi. È possibile che in Italia dobbiamo ripetere un errore dopo che altri lo hanno già riconosciuto come tale?

I referendum sono ingannevoli; e questo solo motivo è sufficiente per non andare a votare. Ma ce ne sono molti altri. Anzitutto, su questa materia c’è già stata una intensa e diffusa partecipazione da parte di numerosissimi cittadini che si sono mobilitati, in questa legislatura e nella precedente, per l’approvazione della legge; che hanno organizzato comitati e promosso assemblee e incontri pubblici; che si sono recati dai loro parlamentari o hanno scritto in favore della legge: tutti costoro hanno partecipato alla vita pubblica in maniera attiva e prolungata, ben più di coloro che limiteranno la loro partecipazione al solo giorno del referendum. Nessuno può accusare coloro che non voteranno di essere cittadini passivi; e un’ulteriore possibilità di partecipazione è stata offerta proprio dalla campagna in corso.

Un altro motivo per non votare i referendum è dato dalla natura stessa dello strumento referendario. Il non voto è espressamente previsto dal legislatore, che richiede, perché un referendum sia valido, la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto. Si vuole infatti evitare che una minoranza di cittadini modifichi la legge in vigore, che è stata approvata dalla maggioranza parlamentare e, dunque, è già espressione della sovranità popolare: è ai promotori del referendum che spetta di dimostrare se nel paese esiste una maggioranza di cittadini contrari alla legge; non votare, invece, è il comportamento logico di tutti coloro che hanno sostenuto e che approvano la legge.

Ancora, non votare è prassi acquisita dei cittadini italiani, quando vogliono manifestare la contrarietà o il disinteresse nei confronti dei quesiti proposti; il “non voto” è uno strumento previsto e utilizzato dalla competizione politica: lo usarono i sindacati e i partiti di sinistra per invalidare il referendum che chiedeva la modifica dello Statuto dei lavoratori. Far mancare il numero legale è prassi normale anche in parlamento.

In conclusione, la legge 40/2004, pur imperfetta, è condivisibile nei suoi princìpi; è frutto di un lungo e complesso lavoro di approfondimento della materia; lo strumento del referendum è troppo rozzo per intervenire su questioni così complesse. Si potrà certamente, in futuro, perfezionarla in parlamento, dopo un adeguato periodo di sperimentazione e alla luce dei futuri progressi scientifici e tecnologici. Ma questo sarà possibile solo se si impedirà ai referendum di stravolgerla.

Editoriale di Città Nuova di Antonio Maria Baggio (n. 10/2005)



 

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